Consigli per minestre asciutte
Le minestre asciutte, tutte le paste nelle diverse forme e qualità, secche e all’uovo, i risi, gli gnocchi, sono una grande tradizione italiana. Ogni individuo ha le sue preferenze, ogni regione ha le sue ricette, e tutte celebri e rinomate: le tagliatelle della cucina emiliana, le lasagne pasticciate alla bolognese, quelle con il pesto dei genovesi, i cannelloni e gli spaghetti al pomodoro di cui Napoli va fiera e i risotti gialli dei milanesi; gnocchi, gnocchetti e polente, una lunga lista di ricette per accontentare tutti i gusti.

Consigli per la cottura:
Le paste all’uovo e quelle semplici si buttano sempre in acqua abbondante in ebollizione e, contrariamente all’abitudine, si dovrebbero salare a metà cottura, per evitare che assumano un sapore amarognolo per la cottura prolungata nell’acqua salata.

I napoletani, che sono i maestri delle paste asciutte, tengono sempre presente questo avvertimento. Per quanto ognuno abbia la sua preferenza, in genere la pasta deve essere ritirata ancora resistente: fate però attenzione che non sappia più di farina.

Gli spaghetti in special modo vanno cotti pochissimo e mangiati molto al dente.
Appena cotti si passano solitamente per un attimo sotto acqua fredda corrente per arrestarne la cottura e liberarli dall’amido.
Le paste non vanno tenute al caldo nell’acqua, perchè diventano molli; devono essere mangiate appena pronte.

Per cucinare i risotti vi sono diversi sistemi. In Lombardia si fa di solito il risotto mantecato; dopo aver tostato il riso nel burro e nella cipolla tritata si aggiunge il brodo bollente a poco a poco, in più riprese, e si mescola sovente per evitare che si attacchi alla casseruola.
Questo risotto deve risultare piuttosto sodo e ben legato: con l’aggiunta dello zafferano si prepara così il classico risotto giallo alla milanese che si serve con gli ossibuchi.

Il risotto detto « all’onda » è più morbido, quasi molle; sempre dopo aver tostato il riso nel burro e cipolla tritata, si aggiunge il brodo bollente in una sola volta (al massimo si aggiunge ancora quasi a fine cottura, se il liquido mancasse); si cuoce a piccolo bollore e si mescola il meno possibile con il cucchiaio di legno, per evitare di scalfire la scorza dei grani e di far uscire l’amido che rende il risotto mantecato, come appunto è il risotto alla milanese.

Vi è un terzo modo di cucinare un risotto ed è soprattutto adatto per i bambini e i convalescenti o gli stomaci deboli. Si evita di tostare il riso nel burro; si butta in non molta acqua salata, tanta quanta si prevede che il riso potrà assorbirne: solo a termine di cottura si condisce con burro frescó e parmigiano.

La polenta va divisa in due qualità: quella di Verona o bergamasca, di grana grossa e di colore arancione; quella più fine, più pallida, che si usa a Milano e in Liguria.
La polenta va cotta a lungo, non meno di 45 minuti.
Non va mangiata nei mesi caldi e neppure conservata da un anno all’altro.
Si cucina tra ottobre e aprile.

Per quanto oggi la si prepari anche in pentole di alluminio e sul gas, per la vera buona polenta tradizionale occorre un bel paiolo di rame e un allegro fuoco di fascina che lascerà alla polenta il lieve, amarognolo sapore di fumo.

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